mercoledì 10 dicembre 2008

Intervista al prefetto Mario Mori



Come nasce il R.O.S(Raggruppamento operativo speciale) dei Carabinieri?
Il R.o.s nasce da una serie di incontri, di discussioni già dalla fine degli anni 80. Si cercavano le forme migliori per contrastare la criminalità organizzata, cercare di capire quali erano le organizzazioni dei reparti più aderenti alla realtà. Venne creata quindi una struttura nazionale con determinati compiti, obiettivi e con una competenza specifica nella lotta alla criminalità organizzata. Contestualmente al R.O.S nascono gli altri servizi centralizzati delle forze di Polizia come lo S.C.O e il G.I.C.O. Noi Carabinieri avevamo il vantaggio di avere nell’Arma le sezioni anticrimine che erano il vecchio nucleo antiterrorismo del Generale Dalla Chiesa per cui non abbiamo fatto altro che recuperare quella struttura e inquadrarla nella nuova realtà in modo di essere rapidamente operativi sul territorio. Io ed altri ufficiali venivamo da quella esperienza ed è stato semplice riproporre quel tipo di reparto che aveva sconfitto il terrorismo, convinti che per contrastare fenomeni particolari occorressero specializzazioni particolari
Il vostro reparto con la cattura di Riina fu protagonista della prima grande vittoria dello Stato dopo le stragi del’92. Come nacque?
Quegli anni erano davvero drammatici, dopo le morti di Falcone e Borsellino lo Stato era in grande difficoltà; noi aumentammo i nostri sforzi investigativi concentrandoli sulla componente corleonese di Cosa Nostra. Mandammo degli uomini a Palermo che operarono completamente svincolati dall’organigramma dell’Arma e, sulla base di notizie che avevamo, cominciammo una lunga attività di osservazione e pedinamento che con il tempo e con il contributo indiretto di un pentito ci portò a circoscrivere una zona della città. Portammo il pentito sul posto e lui riconobbe prima la moglie di Riina Antonietta Bagarella poi lo stesso Riina che usciva da un complesso di case. Intervenimmo immediatamente riuscendo a catturarlo. Fu sicuramente un successo dovuto soprattuto all’abnegazione e alle capacità dell’ufficiale noto con il nome di Ultimo che diresse quella e tante altre operazioni.
Come mai quell’Unità non durò molto?
Strutture simili si usurano molto rapidamente, gli uomini conducono una vita difficilissima, non è come un normale servizio. Quello che ha fatto Ultimo con i suoi significa stare al lavoro 24 ore al giorno per un anno, un anno e mezzo, due anni, non si può resistere oltre misura. Forse l’errore è stato di non capire in tempo quanto il personale uscisse stressato da quegli impegni. Quei ragazzi avevano bisogno di un tempo di riposo che poteva essere recuperato in altra maniera. Quel modo di investigare richiedeva un impegno elevatissimo di uomini, di mezzi che l’Arma non poteva più sostenere, era inevitabile che finisse prima o poi.
Come si è sentito da uomo e da carabiniere dopo le accuse sulla mancata perquisizione del covo di Riina?
Deluso. Pensavamo di aver fatto le cose con correttezza e che fossimo stati capiti; probabilmente i magistrati non avevano capito completamente quello che volevamo realizzare. Queste incomprensioni nel tempo si sono incancrenite e hanno portato addirittura ad un dibattimento. Alla fine il giudice ha fatto definitivamente chiarezza sull’argomento.
Dopo l’arresto di Riina la mafia cambia da stragista a invisibile. A cosa pensa sia dovuto questo cambiamento?Alcuni sostengono che qualcuno in Cosa Nostra favorì la cattura di Riina per arrivare ad una tregua con lo Stato
Molta gente fa delle grandi teorie da dietro una scrivania, le teorie basta che non siano illogiche e stanno in piedi però poi vanno dimostrate altrimenti rimangono elucubrazioni più o meno interessanti. La mafia dopo Riina è cambiata perché con la sua cattura è iniziato il suo declino, con lui è crollato il sistema dei Corleonesi che aveva creato. I suoi successori hanno capito che quel tipo di scontro con lo Stato non poteva resistere perché sarebbe stato sicuramente perdente e hanno cercato di adattarsi; come dice il famoso detto siciliano”calati giunco che passa la piena”, hanno capito che la piena era arrivata e si sono messi sulla difensiva.
Cosa pensa delle parole dei figli di Provengano che hanno definito Falcone e Borsellino vittime sacrificali?
Mi rendo conto che un figlio ha sempre e comunque il rispetto del padre e cerca di difenderlo anche di fronte all’evidenza più macroscopicamente negativa. Falcone e Borsellino sono morti perché in quel momento lottare contro la mafia era difficile e rischiosissimo e loro ne erano consapevoli fin dall’inizio quindi meritano il rispetto imperituro della nazione. I figli di Provengano possono dire quello che vogliono ma entro i limiti ben definiti.
Cosa pensa delle varie fiction realizzate su quella stagione?
Non ho mai visto nessuna fiction, la realtà è ben altra cosa
Dopo queste fiction alcuni hanno mitizzato i mafiosi
Penso che la nostra società abbia anticorpi sufficienti e sia abbastanza matura per isolare questi casi. Non penso ci sia un movimento di simpatia consistente verso determinate figure

giovedì 17 luglio 2008

Lo sceriffo



Il 21 luglio 1979 Boris Giuliano, capo della squadra mobile di Palermo, venne assassinato da Leoluca Bagarella. Fu un colpo durissimo per gli uomini che ebbero la fortuna di lavorargli accanto, per i tanti che ebbero la fortuna di conoscerlo e soprattutto per quella Palermo semplice, operosa, desiderosa di una vita tranquilla, che si precipitò ai suoi funerali, fatto non usuale in quegli anni. Giuliano era una persona speciale, un investigatore speciale, uno di quei talenti innati che sarebbero serviti in ogni commissariato della Sicilia e non. Il soprannome di “sceriffo” gli derivava dal fatto di essere forte e impavido ma, allo stesso tempo, umano e comprensivo.
Uno sbirro all'antica, da romanzo giallo o da sceneggiato televisivo, al punto che il celebrerrimo Corrado Cattani de “La Piova” deve molto all’investigatore dai grandi baffi neri. Giuliano era abilissimo nel fare le nozze con i fichi secchi, nel cavare più di un ragno dal buco con mezzi spesso di fortuna, lontanissimi dalla moderna tecnologia e soprattutto senza i pentiti, che risulteranno decisivi nella lotta antimafia a partire dagli anni ottanta.
Fu il primo a intuire che fra la fine degli anni settanta e l'inizio degli anni ottanta, Palermo era diventata pedina nevralgica nello scacchiere internazionale del traffico internazionale dell'eroina. Fu il primo a intuire che a Palermo si raffinava l'oppio che arrivava abbondante dal triangolo d'oro della Thailandia, del Laos e della Birmania. E che l'eroina, una volta prodotta, doveva essere spedita da qualche parte. Grazie a lui vennero scoperti, in due valigie abbandonate sul nastro bagagli dell'aeroporto di Punta Raisi, i cinquecentomila dollari spediti come compenso dalla parte americana del traffico. Successivamente furono trovati quattro chili di eroina purissima per un valore, all'epoca, di tre miliardi.
Era la prova del 'teorema Giuliano'. Teorema che sarebbe rimasto tale se all'appello fossero mancati i soldi o la droga. Invece il teorema trovò nuova conferma quando all'aeroporto Kennedy, gli agenti dell' antinarcotici di New York furono altrettanto fortunati, riuscendo a mettere le mani sull'eroina, dal valore di dieci miliardi, appena sbarcata da Palermo.
Le intuizioni, la tenacia, l'intelligenza si coniugavano anche ad ottimi studi, all'ottima conoscenza dell'inglese, che lo aveva portato a frequentare, nel 1975, il corso dell'FBI in Virginia, unico poliziotto italiano allora prescelto. Non fu un caso che durante la sua 'reggenza' della Mobile, agenti e funzionari dell' FBI o della DEA, furono di casa. Una sinergia tanto preziosa per le indagini, quanto devastante - come abbiamo visto - per i narco trafficanti.
Aveva pestato troppi piedi Boris, toccato troppi interessi, fatto bruciare troppi capitali e chi tocca i soldi di solito muore, come gli era stato preannunciato in una telefonata alla Questura di Palermo, rivelatasi poi tragicamente veritiera. Giuliano venne colpito in un bar, dopo aver consumato l’ultimo caffè della sua vita e alle spalle, probabilmente per evitare qualsiasi reazione da lui, che era un eccellente tiratore.

martedì 15 luglio 2008

su Eluana Englaro


I grandi temi etici sono i più delicati, i più controversi, proprio perché, attenendo all’etica, alla coscienza, alle convinzioni, non hanno una giustezza univoca e si prestano a differenti letture, a diverse prospettive. Su questioni come aborto, eutanasia, pena di morte il torto e la regione si compenetrano in ogni posizione e manca una oggettiva e incontrovertibile verità.

Per questo vorrei parlare di Eluana Englaro a titolo personale, senza esprimere la posizione del mio giornale, del mio partito, dell’istituzione di cui faccio parte. Non ne parlo per ragioni politiche, non ne parlo da credente.

Eluana Englaro è una donna viva, che respira da sola, con tutte le funzioni fisiologiche sane , senza particolari cure mediche. Da 16 anni è prigioniera di uno stato di incoscienza del quale non conosciamo i contorni, ma del quale non possiamo giudicarne la dignità. Eluana ogni mattina apre gli occhi,viene lavata, girata ogni due ore nel suo letto, portata all’aria aperta. In nome di quale pietas una sentenza dovrebbe invece staccarle la spina e chiuderla in una bara? Siete sicuri che starebbe meglio qualche metro sottoterra? Caro signor Englaro a lei va tutto il mio rispetto e l’ammissione di non poter nemmeno concepire il suo dolore. Ho specificato prima che il mio è un discorso personale, senza pretese dogmatiche, ma penso proprio che se fosse capitato a mia figlia avrei preferito, sempre e comunque andarla a trovare in un letto di ospedale piuttosto che in un cimitero. Per questo motivo il mio plauso e la mia ammirazione sono per Suor Albina Corti e le altre religiose che dal 1994 ogni giorno si prendono cura di Eluana; per loro non è un vegetale ma una donna viva e come tale la trattano

giovedì 22 maggio 2008

Giorgio Almirante: l'uomo che immaginò il futuro



Le parole per descrivere Giorgio Almirante le trovò lui stesso, calzanti come un abito su misura:”Degli uomini come me si deve poter dire: era fatto per i tempi duri e difficili, era fatto per seminare e non per raccogliere, era fatto per dare e non per prendere. Vorrei tanto che si dicesse di me quello che Dante disse di Virgilio: facesti come colui che cammina di notte e porta un lume dietro di sé e con quel lume non aiuta se stesso, egli cammina al buio si apre la strada nel buio ma dietro di sé illumina gli altri”.
Almirante nel dopoguerra ebbe il non facile compito di guidare un partito collocato fuori dal cosiddetto arco costituzionale con il peccato originale di essere nato dalle ceneri di Salò. Un partito che al suo stesso interno includeva personalità ed esperienze politiche eterogenee, che moltissimi volevano sciogliere, che ebbe contrasti, scissioni e alcune frange che virarono verso la deriva terroristica. Comprese che si doveva superare l’esperienza fascista senza rinnegarne le origini, aprendo al sistema per non rimanerne esautorato. Nel 1971 il Movimento Sociale fu determinante nell’elezione del Presidente della Repubblica che portò Giovanni Leone al Quirinale, ma il suo leader non vide il vero sdoganamento del suo partito che avvenne solo nel 1993, cinque anni dopo la sua morte. Il giovane Gianfranco Fini, che Almirante aveva designato alla sua successione, anche per avere una guida non più compromessa con il regime, quell’anno correva per il Campidoglio e fu benedetto da un Silvio Berlusconi che sarebbe diventato, poco dopo, capo di un Governo che avrebbe visto, per la prima volta nell’Italia Repubblicana, Ministri della fiamma tricolore. Oggi Fini ricopre la terza carica dello Stato ed anche Roma, con Gianni Alemanno, è governata da un ex missino. Almirante preparò il terreno, seminò e lasciò raccogliere i frutti alla giovane classe dirigente cresciuta sotto la sua segreteria, con una lungimiranza e un acume politico che l’hanno fatto definire per questo”l’uomo che immaginò il futuro”. La mia età anagrafica non mi ha consentito di aver assistito ai suoi comizi, a quella celebre e riconosciuta capacità oratoria, che portava spesso anche i suoi avversari a sentirlo parlare, quasi di nascosto, in aula, ma mi consente di poterne rimpiangere le qualità umane e politiche, lo stile ed il coraggio che dimostrò , tra le altre volte, nel 1984 in occasione della morte di Enrico Berlinguer, quando si recò assieme a Pino Romualdi( anche lui scomparso 20 anni fa esatti), alle esequie del segretario comunista, appartenente anche lui ad una classe politica oggi estinta o rara come un Panda. Un gesto che fu ricambiato quattro anni dopo da Nilde Jotti e Giancarlo Pajetta, quando i due fondatori del MSI si spensero a distanza di un giorno l’uno dall’altro.

venerdì 18 aprile 2008

60 anni fa il primo Parlamento della Repubblica



Il 18 aprile di sessant’anni fa le prime votazioni regolate dalla Costituzione, entrata in vigore all’inizio dell’anno, eleggevano il primo Parlamento dell’Italia repubblicana. Le precedenti consultazioni del 2 giugno 1946, oltre alla composizione dell’Assemblea Costituente e alla nuova forma istituzionale dello Stato, avevano determinato la rinascita dei partiti di massa, collocando al centro del sistema politico tre partiti che, sommati, inquadravano oltre tre milioni di italiani: La Democrazia Cristiana, il Partito Comunista ed il Partito Socialista. I primi due avrebbero dominato gli oltre quarant’anni della Prima Repubblica, fondata su un bipartitismo imperfetto che non vide mai i comunisti alternativa di governo alla Democrazia Cristiana.
Dopo due anni di lavori per la nuova carta costituzionale, i due principali partiti si presentarono al giudizio degli italiani contrapposti, alternativi, espressioni, più o meno fedeli , dei due blocchi in cui si era demarcato il mondo della Guerra Fredda: liberale, atlantica, egemone agli Stati Uniti la DC, socialista e filosovietico il PCI. Il terzo polo socialista, invece, si divise tra la corrente socialdemocratica del futuro Capo dello Stato Giuseppe Saragat, profondamente distante dai comunisti e parte di molti futuri esecutivi, e il resto del partito, che confluì nel Fronte Democratico Popolare, la coalizione elettorale che accorpava socialisti e comunisti.
La campagna elettorale fu accesa e assunse toni epici, specialmente da parte democristiana, che basò la propaganda sull’equazione Fronte Popolare=Stalin, evocando, con iperboli e manifesti particolarmente efficaci, lo spettro cupo di un totalitarismo ateo. I cattolici ebbero gioco facile anche per alcune circostanze contingenti favorevoli come il colpo di Stato comunista di Praga del febbraio 1948.
Le urne consegnarono alla DC quasi 13 milioni di voti, il 48,51% e 306 seggi alla Camera, 10milioni di voti e 131 seggi al Senato che, in quelle elezioni, fu il più numeroso della storia in quanto incluse, secondo la terza disposizione transitoria della Costituzione, di diritto e solo per la prima Legislatura, anche i perseguitati dal Fascismo, coloro che erano stati destituiti dalla seduta della Camera del 9 novembre 1926, i membri del disciolto Senato del Regno d'Italia, per un totale di 106 eletti che portarono il totale a 343 Senatori.
Il Fronte popolare rimase staccato di circa 4milioni di voti in entrambi i rami del Parlamento. I socialisti rimasero fuori dal Governo fino al 1963, i Comunisti fino al 1996 ma non con il Partito Comunista che si sciolse nel 1991, ma con il suo erede, il Partito Democratico della Sinistra, che entrò nel primo esecutivo di Romano Prodi.
Manuel Fondato

martedì 8 aprile 2008

Rivista Modello Roma


Roma e il Lazio saranno decisivi per spostare l'ago della bilancia del Senato. Roma da sempre è un laboratorio politico, da qui sono partite o ripartite le carriere politiche di Rutelli e Veltroni. Entrambi, dopo il doppio mandato da Sindaco(nel caso di Veltroni non completato), hanno avuto disco verde per la scalata alla Presidenza del Consiglio. Rutelli ha fallito, Veltroni, secondo i sondaggi, fallirà. Gli otto anni del primo, i sette del secondo lasciano aperta la questione del Modello Roma, una bufala mediatica o un'effettiva stagione di rilancio per la Capitale? Le percentuali bulgare con cui era stato rieletto, nel 2006, l'attuale leader del PD non lascerebbero dubbi: Roma è stata ben amministrata. Ma poi molti nodi sono venuti al pettine, i tappeti rossi e le notti bianche hanno lasciato posto a degrado, fatti di cronaca sempre più violenti, campi nomadi e sovrappopolamento che ha generato favelas e baraccopoli lungo le sponde del Tevere. Possibile quindi che ai romani basti qualche buon concerto e la Festa del Cinema per giudicare positivamente il loro primo cittadino? Oppure non erano a conoscenza del reale stato della loro città, talmente estesa da essere ingovernabile? Di oggettivo e inoppugnabile c'è l'iniziativa di Silvio Berlusconi, che ha allegato una sua lettera ai romani ad una rivista fotografica che ha spedito a tutte le famiglie capitoline. La rivista dal titolo"C'era una volta il Modello Roma di Veltroni e Rutelli" non è altro che il semplice assemblamento di un anno di articoli e fotografie dei cronisti di quasi tutti i principali giornali: Il Corriere della Sera, il Messaggero, La Repubblica, il Corriere della Sera,il Tempo e perfino l'Unità. Un omaggio al diritto di cronaca e alla libertà di stampa difficilmente contestabile. Eppure la reazione del centrosinistra è stata di rara aggressività verbale, si è parlato di caricatura, di insulti, di ignobile lettera, fino al forzato parallelismo PDL-Lega. Lega che non ha mai amministrato una città sotto la linea gotica. Un'associazione di giornalisti, Lettera 22, ha anche commentato così l'iniziativa di un sedicente candidato al Municipio XII° che, alla ricerca delle ultime preferenze, non ha trovato nulla di meglio che organizzare un punto di raccolta dove mandare al macero la rivista per una fantomatica raccolta differenziata:"Quando la cronaca non piace, dalmacero al falò il passo è breve. La libertà d'informazione non può essere 'partigiana'. Invitiamo la forza politica promotrice di tale iniziativa a ripensare a questa raccolta riciclata."
La parola sta per tornare agli elettori, come sempre gli unici arbitri di ogni contesa democratica. Resta però forte il sospetto che in passato si sia tentato in tutti i modi a Roma di nascondere la polvere sotto il tappeto.

mercoledì 2 aprile 2008

SIMULAZIONE SENATO

Come si sa, il Senato è eletto su base regionale, e non nazionale (come avviene, invece, per la Camera); pertanto, per conoscere i risultati, sarà necessario vedere l’esito delle elezioni regione per regione.
In ogni Regione, la lista o coalizione di liste vincente si aggiudica il premio di maggioranza (almeno il 55% dei seggi della Regione); le altre liste (superiori all’8%) o coalizioni (superiori al 20%) si spartiscono i restanti seggi; se però, in base ai rapporti di forza, la lista/coalizione vincente superasse il 55% dei seggi (“sfondando” il premio), la ripartizione sarebbe proporzionale, e cioè alla lista/coalizione vincente andranno + seggi del premio, perché ne ha diritto, avendolo superato
VALLE D'AOSTA
A differenza delle altre regioni, la Val d’Aosta usa un altro sistema elettorale: il maggioritario uninominale semplice all’inglese; ciò è necessario, in quanto, per popolazione, a questa Regione spetta 1 solo seggio, eletto, va da sé, al maggioritario. Data l’alleanza del centrosinistra con la parte (cospicua) della ex “Union Valdotaine”, schieratasi a sinistra, e dato che il centrodestra non è stato capace di allearsi a quel che resta dello storico partito autonomista regionale, il seggio sarà sicuramente appannaggio della coalizione Veltroni.
PIEMONTE
In Piemonte, il centrodestra (Pdl + Lega) ha la vittoria assicurata (vincerebbe persino in caso di sorpasso nazionale di Veltroni) e pertanto si aggiudica i 13 seggi (sul totale regionale di 22) del “premio”; l’Udc non ha nessuna possibilità di fare l’8%; l’unico dubbio riguarda la Sinistra Arcobaleno, se supererà o meno l’8%: se si, otterrà 2 seggi (sottraendoli così al Pd, che ne avrebbe in tal caso 7); se no, il Pd otterrà tutti gli altri 9
2 le ipotesi portate (data per scontata la vittoria in Piemonte di Berlusconi): 1) la Sin. Arcobaleno non supera l’8%; 2) la Sin. Arcobaleno supera l’8%;
LIGURIA
In Liguria, la situazione è piuttosto incerta, e densa di incognite. Sia il centrosinistra di Veltroni, sia il centrodestra di Berlusconi possono vincere, e aggiudicarsi il premio di 5 seggi (su 8 totali). E’ altresì piuttosto probabile (ma non certo) che la Sinistra Arcobaleno superi l’8% e ottenga così 1 dei 3 seggi riservati alle minoranze (il maggior perdente – Veltroni o Berlusconi- si fermerebbe così a 2 seggi); nessuna speranza per l’Udc. Ad oggi il centrodestra sarebbe in leggero vantaggio (circa 4 punti %).
Abbiamo portato 4 casi (relativi, ovviamente alla Liguria): 1) vince Veltroni, e la Sin. Arcobaleno supera l’8%; 2) vince Veltroni, e la Sin. Arcobaleno non supera l’8%; 3) vince Berlusconi, e la Sin. Arcobaleno non supera l’8%; 4) vince Berlusconi, e la Sin. Arcobaleno supera l’8%;
LOMBARDIA
La vittoria di Berlusconi non è mai stata in discussione, e anche con un margine molto netto (superiore ai 20 punti in %), tale da “sfondare” il premio (che in ogni caso sarebbe di 26 seggi su 47); nessuna speranza per l’Udc; remotissime le speranze per la Sin. Arcobaleno di fare l’ 8% (in Lombardia la Sin. Arcobaleno ha un risultato inferiore di almeno l’1% alla media nazionale; e coi sondaggi nazionali che per il partito di Bertinotti oscillano intorno al 7%, non credo proprio che in Lombardia possa fare l’8: dovrebbe superare il 9% nazionale, davvero molto difficile che ciò avvenga). Se però la Sin. Arcobaleno superasse l’8%, il centrodestra non riuscirebbe più a “sfondare” il premio, e si dovrebbe accontentare di 26 seggi
3 ipotesi : 1) La sin. Arcobaleno supera l’8%; 2) La Sin. Arcobaleno non supera l’8%, ma Veltroni rimonta e riduce un po’ il distacco; 3) la situazione resta più o meno come ora
VENETO
La vittoria di Berlusconi non è mai stata in discussione, e anche con un margine molto netto (intorno ai 20 punti%) tale da poter “sfondare” il premio (in ogni caso sarebbe di 14 seggi su 24); non credo vi siano speranze per l’Udc (il cui gruppo dirigente è passato per intero al PDL), nonostante i sondaggi non escludano la possibilità dell’8%; impossibilità per la Sin. Arcobaleno di fare l’8%
3 casi: 1) Veltroni rimonta e riduce un po’ il distacco, e l’Udc non fa l’8%; 2) l’Udc fa l’8% (un’eventuale rimonta di Veltroni è ininfluente); 3) la situazione resta più o meno come ora
TRENTINO
La vittoria di Berlusconi non è mai stata in discussione, e anche con un margine molto netto (intorno ai 20 punti%) tale da poter “sfondare” il premio (in ogni caso sarebbe di 14 seggi su 24); non credo vi siano speranze per l’Udc (il cui gruppo dirigente è passato per intero al PDL), nonostante i sondaggi non escludano la possibilità dell’8%; impossibilità per la Sin. Arcobaleno di fare l’8%
3 casi: 1) Veltroni rimonta e riduce un po’ il distacco, e l’Udc non fa l’8%; 2) l’Udc fa l’8% (un’eventuale rimonta di Veltroni è ininfluente); 3) la situazione resta più o meno come ora
FIULI VENEZIA GIULIA
In Friuli/Venezia Giulia, il centrodestra (Pdl + Lega) ha la vittoria assicurata (vincerebbe persino in caso di sorpasso nazionale di Veltroni) e pertanto si aggiudica i 4 seggi (sul totale regionale di 7) del “premio”; Udc e Sinistra Arcobaleno non hanno nessuna possibilità di fare l’8%;
Unica possibilità: 3 seggi a Veltroni e 4 a Berlusconi
EMILIA ROMAGNA
Non è in discussione la vittoria del centrosinistra; nessuna speranza per l’Udc; il superamento dell’8% da parte della Sin. Arcobaleno è la principale incognita: se lo supera, si aggiudica 2 seggi, lasciando al Pdl gli altri 7 delle minoranze, e al Pd i 12 (su 21) del premio, indipendentemente dalle performance di Veltroni e Berlusconi; in caso contrario, le sole 2 coalizioni principali si spartiranno i 21 seggi: 12 (o 13 se aumenta di 3 punti, sottraendoli al centrodestra) al Pd, 9 (o 8 in caso di rimonta veltroniana) al Pdl.
3, dunque, i casi che si prospettano: 1) Veltroni rimonta e “sfonda” il premio, (e la Sin. Arcobaleno non fa l’8%); 2) la Sin. Arcobaleno fa l’8%, e diventa superflua l’eventuale rimonta di Veltroni; 3) la situazione resta come ora, ma la Sin. Arcobaleno resta sotto l’8%
TOSCANA
Certa la vittoria del centrosinistra, che si aggiudica il premio(10 seggi su 18); certo il superamento dell’8% da parte della Sin. Arcobaleno; nessuna speranza per l’Udc.
Unica ipotesi: Pd 10 seggi; Pdl 6; Sin. Arcobaleno 2
UMBRIA
Certa la vittoria del centrosinistra, che si aggiudica il premio(4 seggi su 7); certo il superamento dell’8% da parte della Sin. Arcobaleno; nessuna speranza per l’Udc.
Unica ipotesi: Pd 4 seggi; Pdl 2; Sin. Arcobaleno 1
MARCHE
Nonostante certi sondaggi segnalino una qualche incertezza, non credo vi siano dubbi sulla vittoria del centrosinistra, che pertanto si aggiudicherebbe il premio (5 seggi su 8). Buone possibilità per la Sin. Arcobaleno di fare l’8% (ma non è certissimo); qualche possibilità anche per l’Udc; se dovesse fare l’8% una di queste 2 forze, toglierebbe 1 seggio al Pdl, se lo dovessero fare entrambe, la migliore delle 2 toglierebbe il seggio al Pdl (anche se cioè entrambe superassero l’8%, il Pdl avrebbe comunque almeno 2 seggi).
5 i casi possibili (esclusa la vittoria di Berlusconi, se no sarebbero 10), ma sono assimilabili a 3:
1 e 1/bis) la Sin. Arcobaleno supera l’8% e l’Udc no; o entrambe lo superano e la Sin. Arcobaleno fa meglio dell’Udc; 2 e 2/bis) l’Udc supera l’8% e la Sin. Arcobaleno no; o entrambe lo superano e l’Udc fa meglio della Sin. Arcobaleno; 3) Né Udc, né Sin. Arcobaleno fanno l’8%
SARDEGNA
In Sardegna, la situazione è piuttosto incerta, anche se nel quartier generale di Veltroni si dà la Regione per persa. Secondo me, sia il centrosinistra di Veltroni, sia il centrodestra di Berlusconi possono vincere, e aggiudicarsi il premio di 5 seggi (su 9 totali). Ma Udc e Sin. Arcobaleno oscillano pericolosamente attorno all’8% Ad oggi il centrodestra sarebbe in leggero vantaggio (circa 5 punti %).
Abbiamo portato 10 casi, che si possono ridurre a 6: 1 e 1/bis) vince Veltroni, la Sin. Arcobaleno supera l’8%, e l’Udc no, o pur superandolo ottiene meno voti della Sin. Arcobaleno; 2 e 2/bis) vince Veltroni, l’Udc supera l’8% e la Sin. Arcobaleno no, o pur superandolo ottiene meno voti dell’Udc; 3) vince Veltroni, e né Udc né Sin. Arcobaleno superano l’8%; 4) vince Berlusconi, e né Udc né Sin. Arcobaleno superano l’8%; 5 e 5/bis) vince Berlusconi, la Sin. Arcobaleno supera l’8%, e l’Udc no, o pur superandolo ottiene meno voti della Sin. Arcobaleno; 6 e 6/bis) vince Berlusconi, l’Udc supera l’8% e la Sin. Arcobaleno no, o pur superandolo ottiene meno voti dell’Udc
LAZIO
Nel Lazio, la situazione è piuttosto incerta. Sia il centrosinistra di Veltroni, sia il centrodestra di Berlusconi possono vincere, e aggiudicarsi il premio di 15 seggi (su 27 totali). Nessuna speranza per l’Udc, ma la Sin. Arcobaleno oscilla pericolosamente attorno all’8% Ad oggi il centrodestra sarebbe in leggero vantaggio (circa 2 punti %).
Abbiamo 4 casi: 1) vince Veltroni, e la Sin. Arcobaleno supera l’8%; 2) vince Veltroni, e la Sin. Arcobaleno non supera l’8%; 3) vince Berlusconi, e la Sin. Arcobaleno non supera l’8%; 4) vince Berlusconi, e la Sin. Arcobaleno supera l’8%
ABRUZZO
In Abruzzo, la situazione è piuttosto incerta, e densa di incognite. Sia il centrosinistra di Veltroni, sia il centrodestra di Berlusconi possono vincere, e aggiudicarsi il premio di 4 seggi (su 7 totali). Ma Udc e Sin. Arcobaleno oscillano pericolosamente attorno all’8% Ad oggi il centrodestra sarebbe in leggero vantaggio (circa 2 punti %).
Abbiamo portato 10 casi, che si possono ridurre a 6: 1 e 1/bis) vince Veltroni, la Sin. Arcobaleno supera l’8%, e l’Udc no, o pur superandolo ottiene meno voti della Sin. Arcobaleno; 2 e 2/bis) vince Veltroni, l’Udc supera l’8% e la Sin. Arcobaleno no, o pur superandolo ottiene meno voti dell’Udc; 3) vince Veltroni, e né Udc né Sin. Arcobaleno superano l’8%; 4) vince Berlusconi, e né Udc né Sin. Arcobaleno superano l’8%; 5 e 5/bis) vince Berlusconi, la Sin. Arcobaleno supera l’8%, e l’Udc no, o pur superandolo ottiene meno voti della Sin. Arcobaleno; 6 e 6/bis) vince Berlusconi, l’Udc supera l’8% e la Sin. Arcobaleno no, o pur superandolo ottiene meno voti dell’Udc
MOLISE
In Molise, si eleggono 2 soli senatori, e siccome nessuna delle 2 coalizioni ha un vantaggio sull’altra tale da poterseli aggiudicare entrambi, andranno 1 a testa tra Veltroni e Berlusconi. Nessuna speranza per le altre formazioni politiche
CAMPANIA
In Campania, il centrodestra (Pdl + Mpa) ha la vittoria assicurata (vincerebbe persino in caso di sorpasso nazionale di Veltroni) e pertanto si aggiudica i 17 seggi (sul totale regionale di 30) del “premio”; Udc e Sinistra Arcobaleno oscillano attorno all’8%.
4 i casi portati (data per scontata la vittoria di Berlusconi): 1) né Sin. Arcobaleno né Udc superano l’8%; 2) la Sin. Arcobaleno supera l’8% e l’Udc no; 3) l’Udc supera l’8% e la Sin. Arcobaleno no; 4) Udc e Sin. Arcobaleno superano entrambe l’8%
PUGLIA
In Puglia, il centrodestra (Pdl + Mpa) ha la vittoria assicurata (vincerebbe persino in caso di sorpasso nazionale di Veltroni) e pertanto si aggiudica i 12 seggi (sul totale regionale di 21) del “premio”; nessuna speranza per la Sin. Arcobaleno; l’Udc oscilla attorno all’8%
Dando per scontata la vittoria di Berlusconi, si prospettano 2 casi: 1) l’Udc non supera l’8%; 2) l’Udc supera l’8%
BASILICATA
Anche se certi sondaggi segnalano qualche incertezza, (uno del quotidiano della Basilicata, tendente al centrosinistra, dà a Veltroni solo l’1,5% di vantaggio) non credo sia in discussione la vittoria del centrosinistra, (che si aggiudicherebbe il premio, di 4 seggi su 7); Udc e Sin. Arcobaleno oscillano entrambe attorno all’8%; se una di queste 2 forze dovesse fare l’8%, toglierebbe 1 seggio al Pdl; se lo dovessero fare entrambe, la migliore delle 2 toglierebbe il seggio al Pdl (anche se cioè entrambe superassero l’8%, il Pdl avrebbe comunque almeno 2 seggi).
5 i casi possibili (esclusa la vittoria di Berlusconi, se no sarebbero 10), ma sono assimilabili a 3: 1 e 1/bis) la Sin. Arcobaleno supera l’8% e l’Udc no; o entrambe lo superano e la Sin. Arcobaleno fa meglio dell’Udc; 2 e 2/bis) l’Udc supera l’8% e la Sin. Arcobaleno no; o entrambe lo superano e l’Udc fa meglio della Sin. Arcobaleno; 3) Né Udc, né Sin. Arcobaleno fanno l’8%
CALABRIA
Anche se certi sondaggi segnalano un buon vantaggio del centrodestra, (uno del quotidiano della Calabria, tendente al centrosinistra, dà a Berlusconi ben il 9% di vantaggio) credo che la situazione sia piuttosto incerta. E’ importante vincere in Calabria: chi lo fa si aggiudica il premio, di 6 seggi su 10; Udc e Sin. Arcobaleno oscillano entrambe attorno all’8%; se una di queste 2 forze dovesse fare l’8%, toglierebbe 1 seggio allo sconfitto principale; se lo dovessero fare entrambe, la migliore delle 2 toglierebbe il seggio allo sconfitto (anche se cioè entrambe superassero l’8%, lo sconfitto avrebbe comunque almeno 3 seggi).
Abbiamo portato 10 casi, che si possono ridurre a 6: 1 e 1/bis) vince Veltroni, la Sin. Arcobaleno supera l’8%, e l’Udc no, o pur superandolo ottiene meno voti della Sin. Arcobaleno; 2 e 2/bis) vince Veltroni, l’Udc supera l’8% e la Sin. Arcobaleno no, o pur superandolo ottiene meno voti dell’Udc; 3) vince Veltroni, e né Udc né Sin. Arcobaleno superano l’8%; 4) vince Berlusconi, e né Udc né Sin. Arcobaleno superano l’8%; 5 e 5/bis) vince Berlusconi, la Sin. Arcobaleno supera l’8%, e l’Udc no, o pur superandolo ottiene meno voti della Sin. Arcobaleno; 6 e 6/bis) vince Berlusconi, l’Udc supera l’8% e la Sin. Arcobaleno no, o pur superandolo ottiene meno voti dell’Udc
SICILIA
Non è in discussione la vittoria di Berlusconi (quasi 20 punti di vantaggio) che pertanto si aggiudica il “premio” di 15 seggi (su 26); nessuna possibilità per la Sin. Arcobaleno, molto probabile che l’Udc superi l’8%, c’è un dubbio se in base alle proporzioni tra Udc e Veltroni il partito di Casini farà 2 o 3 seggi
3 i casi portati (scontata la vittoria di Berlusconi): 1) l’Udc va maluccio e fa solo 2 seggi; 2) buon risultato per l’Udc che fa 3 seggi; 3) l’Udc non fa l’8% e Berlusconi “sfonda” il premio.
ESTERO
4 le ripartizioni della circoscrizione Estero: Europa e Sud America hanno 2 seggi a testa; Nord America e Resto del Mondo ne hanno 1 a testa
Nessun dubbio sull’Europa (1 a 1 tra Veltroni e Berlusconi) e sul Nord America (il seggio se lo aggiudica Berlusconi); per quanto riguarda gli altri 3 seggi, nel resto del mondo il seggio è in bilico tra i 2 schieramenti; in Sud America i seggi sono 2, per 3 schieramenti tutti competitivi (Berlusconi, Veltroni e Pallaro)
5 i casi possibili
4 le ripartizioni della circoscrizione Estero: Europa e Sud America hanno 2 seggi a testa; Nord America e Resto del Mondo ne hanno 1 a testa
Nessun dubbio sull’Europa (1 a 1 tra Veltroni e Berlusconi) e sul Nord America (il seggio se lo aggiudica Berlusconi); per quanto riguarda gli altri 3 seggi, nel resto del mondo il seggio è in bilico tra i 2 schieramenti; in Sud America i seggi sono 2, per 3 schieramenti tutti competitivi (Berlusconi, Veltroni e Pallaro)
5 i casi possibili
Formazione politica seggi (min) seggi (max)
Sinistra Arcobaleno 3 19
Pd + Di Pietro + SVP 121 153
Pallaro 0 1
Udc 0 15
Pdl + Lega + Mpa 145 173

lunedì 17 marzo 2008

Intervista a Maria Rocchetti vedova di Domenico Ricci caduto in Via Fani




Cosa ricorda di quel 16 marzo 1978?
La mattina del quel giovedì 16 marzo io con i miei due figli eravamo in casa, in quanto io casalinga e loro, Paolo 9 anni e Giovanni 11, sarebbero andati a scuola il pomeriggio per le note difficoltà dell’epoca nel reperimento di insegnanti, con la conseguente doppia turnazione nelle scuole statali.
Alle ore 09.30 circa avendo la radio accesa, venni a conoscenza della notizia di un gravissimo attentato che aveva interessato l’On. Aldo Moro e la sua scorta. Notizie frammentate e non attendibili nei primi momenti; il panico e l’angoscia mi rapirono nel pieno della loro devastante forza, le lacrime copiose cominciarono a prendere il sopravvento su quella che era la mia naturale forza d’animo, cosa mai era successo a mio marito?
Le notizie date dai telegiornali dell’epoca cominciarono poi a farsi più certe, e nel mio cuore cominciai ad avere consapevolezza di ciò che mai una moglie vorrebbe che le fosse annunciato: la morte del proprio amato. Il venire a mancare di quella persona che per una moglie rappresenta l’unica ancora di salvezza in una vita fatta di quotidiani sacrifici per portare avanti una famiglia di un uomo delle Istituzioni: un Carabiniere. La nebbia che quella mattina aveva offuscato la mia mente cominciò a dissiparsi verso le ore 13 quando un ufficiale dell’Arma dei Carabinieri si presentò alla mia porta con il volto costernato di colui che non vorrebbe mai dare quell’efferata notizia: “Signora mi dispiace, per suo marito non c’è più nulla da fare…è morto”. Eppure sembrava che dalle prime notizie una labile speranza ci fosse, sentivamo dire che ci fossero dei feriti, speravamo, pregavamo, pensavamo insieme ai miei figli “…Signore nostro anche invalido per tutta la vita ma almeno vivo”, ma come le foglie d’autunno vengono spazzate via da una improvvisa folata di vento la nostra vita venne annientata in un momento, nell’attimo della piena consapevolezza di quanto fosse accaduto. Per tutta la mia vita ricorderò quel terribile momento, l’immagine di quanto poi trasmesso dalla televisione di Stato l’ho ancora stampata nella mia mente, come rimarrà in quella dei miei poveri figli: le autovetture crivellate di colpi e il corpo di mio marito trucidato con decine di colpi! E quando uno dei miei figli ebbe a riconoscere il suo povero papà dall’orologio, il mondo, la vita, le speranze della mia famiglia sono crollate come un debolissimo castello di carte che cade.
Da quel momento una vita distrutta, una famiglia spezzata, e non sto qui a raccontare come sia difficile far crescere due figli facendogli capire che il loro papà è morto e non ritornerà mai più a casa, cercare di fargli comprendere come sarà estremamente difficile crescere con la consapevolezza che il proprio padre è stato trucidato (perché i miei poveri figli l’immagine del padre ucciso nella macchina se la porteranno per tutta la loro povera vita).
Ha sentito la vicinanza dello Stato?
Dopo i funerali ed i primi momenti in cui tutti ti sono vicini, ricordo per l’appunto con vero piacere gli occhi illuminati dei miei figli quando nel gennaio del 1979 l’allora Presidente della Repubblica, l’incommensurabile Sandro Pertini, fece arrivare nel giorno dell’Epifania dei doni per loro, un attimo di gioia in quei momenti di così quotidiana angoscia. Dopo quei primi istanti di vicinanza venne l’oblio, che è una naturale caratteristica per quanto concerne momenti così tragici: a volte il silenzio lenisce i dolori più forti. Sono passati 30 anni da quel giorno, come appartenente all’Associazione delle “Vittime del Terrorismo”, ammetto che una dura battaglia è stata portata avanti per ottenere il riconoscimento di quanto dovuto nei nostri confronti, ma non solo per noi stessi perché sono orgogliosa di affermare che la nostra battaglia per il riconoscimento di tali diritti, sanciti dalla stessa “Carta dei Diritti dell’Uomo” sono stati altresì riconosciuti anche per le “Vittime del Dovere” ovvero per quei poveri ragazzi, siano essi poliziotti, carabinieri o finanzieri, che cadono uccisi anche dalla malavita comune, ma che pur restano dei paladini della giustizia che hanno immolato le loro povere vite in difesa delle Istituzioni Democratiche del nostro Stato. A volte bisognerebbe comprendere che, molto spesso, dietro una divisa c’è un comune cittadino che crede nelle Istituzioni sino ad arrivare all’estremo sacrificio pur di difenderle come citava San Tommaso D’Aquino nella divulgazione di quanto lui chiamava “L’opzione fondamentale” ovvero quel momento così supremo e mistico che permette a coloro che svolgono la propria opera a difesa delle Istituzioni di arrivare sino all’estremo sacrificio al fine di tutelarle.
Certamente l’emanazione di specifiche leggi sulle “Vittime del Terrorismo” hanno portato inevitabilmente a quella che è una caratteristica italiana in merito: fatta una legge ove la volontà del Legislatore è univoca al fine di stabilire una sorta di riconoscimento morale ed etico per coloro che hanno sacrificato la vita per la Nazione, non viene in effetti recepita a livello locale dalla più banale delle burocratizzazioni rendendo così vano la volontà del Parlamento legiferante.
Pensa si sia fatta piena luce sul caso Moro?
Da quel giorno la nostra vita è cambiata radicalmente, i vari processi verso i militanti delle Brigate Rosse, sei processi tengo a ribadirlo, processi che comunque hanno lasciato molti aloni di mistero in quello che forse è stato e rimarrà una delle pagine più buie della nostra Storia repubblicana.
La vicenda Moro ha rappresentato per tutto il Popolo italiano la voglia di verità estrema, perché ogni cittadino nel voler comprendere profondamente quanto accaduto nei cosiddetti “Anni di piombo”, nel cercare di chiudere un epoca attraverso la richiesta della piena verità sui fatti, si è purtroppo ritrovato a combattere con quella sorta di “Muro di Gomma” che fu innalzato intorno a questa vicenda! Perché, io ritengo, che solo con la piena verità si potrà arrivare ad avere un momento pieno di consapevolezza e pace interiore nei confronti di quei momenti di così triste storia che caratterizzarono gli anni ’70.
Ancora oggi i fautori della fermezza si contrappongono a quelli della trattativa, si dice anche che voi non avreste visto di buon occhio i tentativi di liberare Moro. È vero?
Durante il sequestro Moro si parlò tanto di coloro che rappresentavano il cosiddetto “Partito della Fermezza” e di coloro che erano per le “Trattative”. Certamente in quel momento noi familiari degli uomini trucidati in via Fani, sentivamo forte in noi la voglia che fossero assicurati alla giustizia tutti coloro che avevano compiuto quell’efferata strage. Eppure, contestualmente, sentivamo in noi forte la sensazione che, laddove fosse stato possibile liberare l’On. Aldo Moro, tutto ciò avrebbe rappresentato per noi tutti una sorta di redenzione morale, un possibile ritorno in vita dei nostri cari che avevano sacrificato la loro vita per il proprio compito: difendere un uomo dello Stato. Tante cose furono raccontate ad arte dai giornali in quel periodo, come la volontà delle vedove di via Fani (in particolare eravamo solo io e la signora Leonardi) di darci addirittura fuoco se si fosse addivenuti ad una qualsiasi sorta di trattativa. Ma tali considerazioni non corrispondevano al vero ed il tutto è agli atti della “Commissione Stragi” dove fummo più volte interpellate e demmo una secca smentita a tutto ciò. Rimane solo un’unica finale considerazione in merito a quanto accaduto: se Aldo Moro rappresentava per noi un familiare, una persona cara perché non avremmo voluto la sua liberazione? E come ho sempre affermato magari una volta liberato li potevano catturare di nuovo tutti!
Concludo questa mia testimonianza lasciando un messaggio ai ragazzi delle future generazioni, perché possano comprendere quanto accaduto in Italia in quegli anni, noi siamo stati educati dai nostri cari al motto dei carabinieri “…Usi obbedir tacendo, tacendo morir”, proprio perché, come loro, abbiamo il pieno rispetto delle Istituzioni e il profondo sentimento di rispetto per lo Stato per cui i nostri cari hanno sacrificato la propria vita, ma ai giovani io chiedo comprendete, studiate, analizzate, capite, perché solo in questo modo il nostro amato Paese si potrà permettere di ricomporre quella frattura che ancora lacera l’animo della nostra Nazione.
Manuel Fondato (Le foto vengono pubblicate per gentile concessione di Giovanni Ricci al quale vanno i miei più sentiti ringraziamenti)

16 marzo 1978


Ci sono giorni che, con la loro dirompente portata, segnano una linea di demarcazione netta tra un prima e un dopo. Il 16 marzo 1978 è tra questi. Quella mattina, in soli tre minuti, cinque uomini vengono strappati alla vita sotto una pioggia di proiettili mentre Aldo Moro viene sequestrato, per morire, anche lui, 55 giorni dopo. Via Fani spacca in due la storia dell’Italia, tra i primi tre decenni di Repubblica e un successivo trentennio di difficile e incompiuta transizione verso una Seconda Repubblica. L’attacco al cuore dello Stato, al tempo stesso culmine e declino delle Brigate Rosse, ha cambiato il successivo corso degli eventi, ha segnato e colpito la società civile di un Paese che si scopriva vulnerabile come mai. Le libere istituzioni hanno retto, ma ad un prezzo elevatissimo. In questo numero però vogliamo ricordare Oreste, Domenico, Francesco, Giulio e Raffaele. La”scorta di Moro”di cui pochi ricordano i nomi e nessuno la storia. La storia di cinque uomini che erano padri, figli, mariti, fratelli. Ho incontrato la vedova di Domenico Ricci, il più anziano nella tutela al Presidente della DC, per raccontarvene almeno una .Vorrei contrapporre la dignità, la discrezione e la semplicità di Maria Ricci all’arroganza, alle lezioni universitarie e alla ribalta di chi ha fatto crescere i suoi due figli senza padre. Noi preferiamo raccontare le vittime. Dei carnefici sapete già troppo.
Oreste Leonardi
Domenico Ricci
Giulio Rivera
Francesco Zizzi
Raffaele Iozzino

martedì 15 gennaio 2008

Quell'impresa degli ultimi


C'era la nebbia quel giorno a Palermo e scese sull’inafferrabile capo dei capi Salvatore Riina che, in un giorno come tanti, andava a messa indisturbato nonostante la caccia che lo Stato gli dava da più di trent'anni. Quel 15 gennaio 1993 due macchine si materializzarono dall'ombra, lo affiancarono al semaforo. Un uomo lo tirò fuori dalla sua Citroen ZX bianca e lo dichiarò in arresto. Di quell'uomo nessuno conosce il volto, pochissimi il nome, tutti il nome di battaglia: Ultimo. Questo ufficiale dei carabinieri, al quale l'immaginario collettivo ha oramai associato il viso di Raoul Bova, mise in ginocchio il capo indiscusso della Mafia servendosi di pochi e fidati uomini, considerati gli scarti dell'Arma, emarginati da superiori e colleghi degli "ultimi" appunto. Ultimo creò un nucleo nel nucleo di soldati idealisti e "straccioni" come lui li definiva. Straccioni per differenziarli dai burocrati in giacca, cravatta e colletti bianchi, straccioni anche per la pazienza e l'ostinazione certosina con cui si incollarono ad un'indagine quasi senza speranza, vincendola senza pistole ma con microspie e telecamere. Ultimo gli chiese tantissimo: di rinunciare alla propria identità, alle proprie mogli, alle proprie fidanzate, ai premi e alle promozioni che non sarebbero mai arrivate, alla fama ed alla gloria, per quel tipo di lavoro servivano degli "invisibili" capaci di operare nell'ombra 24 ore su 24. Chiese tantissimo Ultimo ma ottenne di più, creando uno spirito di gruppo e di solidarietà che non ebbe eguali nella storia dell'Arma, al punto da sembrare troppo indipendenti e pericolosi ai superiori che sciolsero il gruppo. L'arresto di Riina, ad appena otto mesi dalle stragi di Capaci e via D'Amelio, segnava l'inizio della riscossa dello Stato nella lotta alla Mafia ed ai Corleonesi, dopo anni di lutti terribili. La gente rispose a quell'arresto tirando fuori tutto l'orgoglio e la fierezza di chi vede cancellare una virgola d'ingiustizia dopo che il malaffare e la morte avevano regnato incontrastati in Sicilia. Tutti si identificarono in quei piccoli grandi eroi senza volto che l'avevano catturato, essendo loro assai simili ai tanti uomini comuni che in quel giorno rialzarono la testa. Il resto è storia recente con Ultimo ed il Generale Mario Mori in un aula di tribunale per dimostrare di non essere collusi con coloro che avevano arrestato e messo in ginocchio. Per Mori l’odissea non è ancora finita visto che solo pochi giorni fa si è appreso che Il sostituto procuratore della Repubblica di Palermo Nino Di Matteo e il procuratore Francesco Messineo si apprestano a chiedere al giudice per l'udienza preliminare di processare il prefetto Mori perche' avrebbe favorito la latitanza di due uomini di Cosa Nostra, Nicolo' La Barbera e Giovanni Napoli, fidatissimi di Bernardo Provenzano. Secondo la procura negli ultimi mesi sarebbero stati acquisiti elementi probatori tali confermare che La Barbera e Napoli furono aiutati a sottrarsi e a eludere le investigazioni delle forze di polizia proprio dall'ex comandante del Raggruppamento operativo speciale e da uno dei suoi piu' esperti investigatori, il colonnello Mauro Obinu. In Italia sembra non esserci pace per chi ha combattuto la mafia

giovedì 10 gennaio 2008

Intervista al generale Umberto Rocca


Generale, vorrei iniziare da quel 5 giungo 1975, cosa ricorda di quel giorno? Il 5 giugno 1975 segna la mia vita, nel bene e nel male finisce un'epoca e ne comincia un'altra, sono passati 30 anni. Mi avevano comunicato dalla centrale della mia compagnia che era stato sequestrato, presumibilmente, un industriale Gancia, il re dello spumante, nella provincia di Asti, precisamente a Canelli, e io come tutti i miei colleghi prepariamo i posti di blocco com’erano previsti attendendo quanto prima di sapere se corrispondeva al vero o meno questa notizia, erano le 16:30 circa del giorno 4, verso le ore 18 arriva la conferma che era stato sequestrato in quanto era stata trovata la sua macchina abbandonata lungo la strada, contestualmente era stato preso un certo Maraschi, un ragazzotto di 20 anni il quale aveva fatto un incidente stradale lievissimo toccando una macchina e il proprietario di questa macchina l’aveva seguito perché non si era fermato ed essendosi impaurito vedendo i Carabinieri che transitavano nella zona, si era buttato nei campi facendo impantanare l’auto, al che il Maraschi si dichiarava prigioniero politico. Io vado con i miei uomini in perlustrazione fino alle quattro del mattino, verso le 4:30 rientriamo. Il giorno successivo era la festa dell’Arma ed io dovevo mandare alcuni miei militari ad Alessandria per la cerimonia con i reparti schierati ma il mio Colonnello mi dice di rimanere in zona per continuare le ricerche di Gancia. Poche ore dopo esco nuovamente portando con me il maresciallo Cattafi e l’appuntato D’Alfonso che ra venuto da me solo un mese prima, D’Alfonso aveva donato assieme a me il sangue alla moglie di un nostro appuntato 3 giorni prima, dico questo particolare perché quando si dona il sangue si ha diritto ad una breve licenza ed il povero appuntato me la chiese per tornare dalla moglie ed i figli che non vedeva da un mese. Eravamo in piena campagna elettorale, dopo qualche giorno ci sarebbe stato un comizio del MSI ad Acqui, gli dico che doveva aspettare qualche giorno e che gli avrei concesso la licenza nell’intervallo tra il comizio e le elezioni. Guidavo io la macchina( il mio autista era ad Alessandria per la parata) Ci fermiamo a prendere un caffè in piazza ad Acqui, ma la mia mente continua a ripensare al sequestro e alla zona. L’anno prima era stato sequestrato Sossi, io conoscevo benissimo la zona ma non il punto dove era avvenuto l’incidente. Dopo il caffè decido di andare a salutare il procuratore , mio amico fin da ragazzo, al quale riferivo quotidianamente sul mio lavoro investigativo. Non lo trovo, era presente il sostituto Busso che mi dice di attendere 5 minuti, se mi avesse fatto entrare l’intera operazione non avrebbe avuto luogo. Nell’attesa mi metto a parlare con il nucleo di polizia giudiziaria della procura, chiedo se c’era qualcuno disponibile a condurmi ai ruderi del castello sopra Ristagno (sempre provincia di Alessandria n.d.r.), si offre l'appuntato Barberis che era in borghese mentre noi eravamo tutti in uniforme. Mi metto ancora alla guida e andiamo su, arrivati ai ruderi, guardiamo bene, c’erano le grate, giù c’era una comunità di drogati. Immettendomi dalla strada di campagna a quella provinciale noto una 500 verde, guardo l’autista, mi guardo pochi minuti con l’autista e riparto, al che il maresciallo mi propone di controllare 3 casolari limitrofi, era una bella giornata, una signora sbatteva i materassi alla finestra, scambio qualche parola con lei, siamo In Piemonte eh lì c’è il concetto che il contadino è un industriale della terra, scambio due parole con un'altra signora finchè arriviamo alla cascina Spiotta: era tutto chiuso, c’erano tre macchine posteggiate sotto il porticato,busso, c’era scritto “ Mara Caruso”, ribusso-nulla. Io e il maresciallo tentiamo di aprire le macchine e controllare i libretti di circolazione, sia ben chiaro: noi cercavamo i brigatisti e non, come ha sostenuto qualcun altro, stavamo facendo una merenda. D’Alfonso mi riferisce di aver udito, all’interno, una radio e di aver riconosciuto la voce del nostro operatore. Chiaramente erano sintonizzati sulla nostra centrale operativa e ne avevano una seconda sintonizzata sulla centrale della Polizia, lì ad Acqui c’era la polizia stradale. Ribusso ormai quesi certo che qualcuno doveva trovarsi all’interno e contemporaneamente ordino a Barberis di spostare la macchina, non so perché l’ho fatto, forse pensando che la cascina potesse fare da muro per la radio, nel 1975 non avevamo la radio di adesso e spesso le comunicazioni erano difficoltose in presenza di schermi, comunque gli dico di avvisare la centrale chiedendo rinforzi, una comunicazione che è stata udita anche dai brigatisti che dormivano all’interno, lei si affaccia, io la vedo, la vedo attraverso le persiane di legno, tipiche dell’epoca, mi ricordo che lei aveva una permanente. Quando la invito a scendere lei si ritrae, è chiaro che aveva qualcosa da nascondere. Ci siamo disposti intorno alla cascina quando un uomo apre la porta domandandoci cosa volessimo, come se non fosse evidente quando tre carabinieri si presentano in divisa alla tua porta! Gli dico di mostrarci i documenti, io ero armato con un M1 (arma lunga) ma dopo pochi istanti odo le grida “Attento!Attento!” e vedo solo una cosa rossa davanti al viso, mi aveva lanciato una bomba a mano, io ho istintivamente alzato il braccio sinistro, ho sentito una sberla, una botta, ma nessun dolore, assolutamente nessun dolore, il timpano fischiava ed il braccio era saltato di netto, la fortuna è stata che il calore della bomba aveva chiuso i vasi sanguigni, altrimenti sarei morto dissanguato. Non ho perso conoscenza ma sono rimasto concentrato sull’azione. I terroristi escono fuori, uno salta nella sua macchina provando a fare marcia indietro, lancia la seconda bomba che però non ferisce nessuno, esce fuori l’appuntato D’Alfonso, che cerca di speronarlo con la banana, il paraurti delle macchine di quegli anni, impedendone la marcia indietro, in questo tentativo D’Alfonso cade in terra, la donna (Mara Cagol) esce e gli tira un colpo in testa secco, l’ho visto con i miei occhi, lui è già cerebralmente morto, anche se poi morirà solo l’11. Ripensando a tutto ciò mi vengono i nervi, dal momento che loro parlano di esecuzione da parte nostra!! Io sono fuori gioco anche se sono lì ma Cattafi e Barberis sono illesi e riescono a frenare la fuga della Cagol che intanto aveva tamponato. La Cagol si arrende, ripeto si arrende, alza le braccia, intanto l’altro, di cui non farò il nome, quello che aveva lanciato le bombe, aveva altre due bombe, ne lancia una terza a Barberis urlando alla Cagol di scansarsi, Barberis si china e la schiva, la Cagol tenta di scappare, lui tira e la prende sotto l’ascella sinistra con foro d’uscita dal fegato (Barberis era più alto della donna). L’uomo, l’eroe a quel punto scappa.
Si trattava di Renato Curcio?
Non era Curcio, come si è ipotizzato, Curcio per me è quell’individuo che ho incrociato nella 500 verde, lui dice che era Milano, per me erano tutti a Torino. La sera che ero stato in perlustrazione ho visto arrivare un furgone che poi fu ritrovato il giorno dopo. Loro erano arrivati tardi, avevano consegnato a Torino una lettera in cui chiedevano il riscatto per Gancia e la mattina stavano dormendo in quella cascina tanto è vero che fu ritrovato nella cascina solo un tegamino con un po’ di carne cotta tritata, non c’era né caffè né altro, sembrava quindi un covo secondario. Probabilmente quando l’ho incrociato nella 500 verde il professore (ironico n.d.r.) era andato a comperare i giornali e del cibo, lui sostiene che non era vero ma la famosa 500 verde fu poi ritrovata. Il conflitto a fuoco era ormai terminato,Gancia viene trovato e liberato ma io ero mutilato, D’Alfonso e la Cagol morti, fu Dalla Chiesa a riconoscere nella donna Margherita “Mara”Cagol Sul fatto, che è stato scritto, circa una nostra esecuzione della Cagol, ma lei è morta in un conflitto a fuoco, chiedete a Caselli, chiedete a Violante che parteciparono al processo di Torino contro Maraschi, vi pare che avrebbero nascosto qualcosa? Lei è morta così, io dormo tranquillo, gli altri miei colleghi purtroppo non ci sono più, ma è stato un conflitto a fuoco. Son passati 30 anni, la guerra è finita, i nemici si stringono le mani, possiamo anche dire che va bene anche se non accetto che ce li ritroviamo in Parlamento, all’università. Chi è morto è morto ma chi è vivo non è che sia molto allegro.
Scalzone torna in Italia, la Balzerani viene scarcerata, Curcio tiene lezioni all’università, come spiega il fatto che questi personaggi siano così longevi così come le B.R, attive fino a pochissimi anni fa?
Non è facile mi creda! Noi abbiamo giurato di essere fedeli alla Repubblica, il discorso è che gli scheletri nell’armadio non li ha solo una parte e per questo motivo è stato tutto messo a tacere è pesante quello che dico e non si spiegherebbe in altro modo. Si parla di terrorismo islamico, di terrorismo internazionale e di terrorismo italiano? Tutte le altre nazioni non hanno chiuso dando dei soldi a Tizio, Caio, Sempronio, facendo orfani di prima, seconda, terza categoria, del terrorismo, del dovere, della criminalità organizzata, quando alcuni di questi orfani si incontrano si chiedono di quanti soldi gli hanno dato! Si può arrivare a questo punto? Qualcuno mi ha riferito che la Balzerani ha offerto dei soldi, per avere la possibilità di essere libera, e sostiene di aver contattato le vittime del terrorismo ma lei non ha mai chiesto perdono e nessuno glielo concede. Ripeto è una fase che si vuole chiudere in fretta, gli scheletri ci sono da ambedue le parti, si cerca di tappare la bocca con il denaro e non è giusto, capisco che vedove ed orfani devono andare avanti ed accettano quello che gli si da ma che si dimentichi così in fretta no. Io so di 132 vittime del terrorismo tra giornalisti, magistrati, forze dell’ordine che nessuno conosce, chi conosce il colonnello Tuttobene trucidato a Genova con il suo autista del quale ci è stato detto che non era più necessario celebrarne la messa!! Ma stiamo scherzando?Italiani svegliamoci!
Lei ha parlato di scheletri, recentemente un suo collega Niccolò Bozzo ha denunciato infiltrazioni massoniche nei vertici dell’Arma, quanto ha pesato tutto questo sul vostro lavoro investigativo?
Premetto che io non sono massone e non ho una grande considerazione per la persona che ha citato, io faccio parte di questa istituzione, ci ho creduto, mi sono laureato, non sono venuto perché non avevo dove andare. L’Arma non è perfetta, solo Dio è perfetto, ma aspettare di andare via per sputarci sopra….anche io ho le mie recriminazioni ma non le faccio in pubblico. Erano momenti difficili, si passava da una generazione all’altra. Nel 70-75 si arruolavano pochissimi, le stazioni le mandavano avanti in tre militari ma si andava avanti, Dalla Chiesa era già di idee più moderne rispetto a quella generazione troppo legata alla gerarchia, quando con i miei uomini andavamo alla ricerca di Sossi abbiamo setacciato 1623 cascine e ville ad Acqui e al confine con il savonese e con il genovese, nel marzo 1975 Dalla Chiesa chiese di segnalare quelle cascine o quelle ville che erano state acquistate da gente non del posto, io segnalai alcune cascine e la risposta arrivò a giugno, la cascina risultò acquistata da acquirente sconosciuto, perdemmo mesi ad indagare su questa persona fantasma, oggi questo non accadrebbe più. Andare quindi a dire che alcuni erano venduti non giusto, certo c’erano alcuni che tiravano acqua al proprio mulino, altri che puntavano a fare muro…all’altra parte ..ma l’Arma era compatta ed era rimasta compatta.
Si sostengono molte teorie su quegli anni, che l’Italia fosse stata a sovranità limitata per le ingerenze americane qual è il suo pensiero?
E’una domanda forte, le potrei dire: che sta succedendo a Vicenza? Le regole vanno rispettate, così come le alleanze, non può una minoranza fare i blocchi ferroviari e stradali e decidere di una nazione. 30 anni fa avete ottenuto risultati straordinari senza i mezzi di oggi, quali erano i vostri metodi? Veniamo da una certa scuola, siamo quelli che siamo perché la struttura è quella che è, sana e preparata. Ho comandato il nucleo investigativo di Savona, sono stati a Milano ai tempi di Piazza Fontana, l’anno dopo ci fu un attentato ai cantieri Varazze, nei cantieri Maglietto i migliori costruttori di motoscafi, furono bruciati i cantieri perché c’erano due barche di Agnelli. Io ero in ufficio alle 3 di notte quando ci comunicarono di questo incendio, riusciamo a spegnere le fiamme quando mi si avvicina una coppia, il ragazzo mi dice di sapere chi era l’autore dell’incendio e che lo stesso era vestito da vigile urbano ed è salito su una Ford targata Savona, subito avviammo le ricerche al P.R.A, mi rispondono che la macchina era d’un maresciallo dei carabinieri che ammette il possesso ma dice di averla data alla Ford, di corsa rintracciamo quello della Ford che l’aveva venduta ad un ragazzo risultato essere un anarchico. Nel 1970 non si poteva interrogare nessuno salvo casi eccezionali, quindi per interrogare quel ragazzo chiesi l’autorizzazione del magistrato. Una volta accordata procedo all’interrogatorio e l’anarchico spavaldo non nega l’incendio anzi se ne vanta, tutto questo era stato fatto per ricordare Piazza Fontana. Nella macchina troviamo tutte le prove tra cui la tanica di benzina, durante il processo prende 4 anni ma dopo 2 viene assolto per insufficienza di prove. Noi con i nostri pochi mezzi avevamo raccolto tutto il possibile ma era già nata una corrente particolare della magistratura che si era ormai divisa.
Come mai i nuclei speciali durano poco?Penso anche ai Ros del Capitano Ultimo
Quando noi operavamo anni fa non eravamo Umberto Rocca o Paolo Rossi ma eravamo l’Arma dei Carabinieri, non c’erano nomi, i nomi sono venuti poi perché l’opinione vuole avere un riferimento, un eroe, una primadonna. Nel caso di Dalla Chiesa è diverso, è stato un uomo come ce ne sono stati pochissimi, molti dicono che erano con lui riempiendosi la bocca, io l’ho avuto come comandante di Brigata, Dalla Chiesa rischiava di persona e ha rischiato di persona.
Come ha vissuto il caso Moro?
Una tragedia nella tragedia ma anche lì quante se ne sono dette!! L’italiano ha molta fantasia. Quel giorno era alla Magliana negli alloggi di Villa Bonelli, mi telefona un amico che mi informa dell’accaduto. Di quei giorni ricordo la frenesia che portò anche ad errori investigativi come Gradoli che era una via di Roma ed invece fu setacciato l’omonimo paesino. Comunque io non posso pensare che dei colleghi abbiano depistato le indagini altrimenti crolla tutto! Moro era l’uomo che doveva essere sacrificato perché aveva delle idee politiche diverse ma non possiamo dire che Andreotti ha fatto fuori Moro perché gli dava fastidio, le BR avevano iniziato la loro seconda fase, la prima in cui si nascondevano in campagna era finita nella cascina Spiotta, eravamo nella fase due quella più cruenta e militare di Moretti. Hanno cominciato a nascondersi in città perché hanno capito che era più facile nascondersi, salutando i vicini e fingendosi persone normale e perbene che poi ammazzavano la gente per strada. Chi ha pilotato tutto?ribadisco che scheletri nell’armadio li hanno tutti. Se io volevo fare politica avrei avuto molte possibilità ma ho preferito l’Arma….la politica non ha limiti.
Lei il 31 marzo 2007 è andato in congedo dopo una onorata carriera, quale messaggio vuole lasciare?
Ormai siamo arrivati, l’età è quella che è, la ruota gira, nessuno è indispensabile. Dalla parte operativa sono passato a quella più sedentaria tra 4 mura come grande invalido anche se tale non mi sentivo. Sono diventato appassionato della storia dell’Arma, che ha due secoli dove ne abbiamo passate di cotte e di crude, la storia dell’ Arma è la storia d’Italia, il nostro paese dovrebbe lasciarsi alle spalle gli egoismi e i particolarismi per identificarci in un unico paese. La nostra bandiera l’ha dovuta riesumare Ciampi solo recentemente, finalmente qualcuno canta l’inno nazionale, se l’Italia finalmente saprà maturare potrà guardare con serenità quello che è avvenuto e guardare al futuro ma non è facile. Mi auguro che i miei nipoti possano vivere in un paese che merita il rispetto del mondo, noi abbiamo portato la civiltà nel mondo e spesso ce ne vergognamo. Non chiamiamo più le Legioni dei Carabinieri così, come a voler troncare il legame con quelle romane. I giovani all’università non possono sentire i terroristi che giustificano i loro atti dicendo che il paese era sbagliato e loro stavano dalla parte giusta. Chi ha lottato contro loro viene volutamente dimenticato, io nel 68 ero dalla parte giusta che poi è diventata la parte sbagliata. Manuel Fondato