Cosa ricorda di quel 16 marzo 1978?
La mattina del quel giovedì 16 marzo io con i miei due figli eravamo in casa, in quanto io casalinga e loro, Paolo 9 anni e Giovanni 11, sarebbero andati a scuola il pomeriggio per le note difficoltà dell’epoca nel reperimento di insegnanti, con la conseguente doppia turnazione nelle scuole statali.
Alle ore 09.30 circa avendo la radio accesa, venni a conoscenza della notizia di un gravissimo attentato che aveva interessato l’On. Aldo Moro e la sua scorta. Notizie frammentate e non attendibili nei primi momenti; il panico e l’angoscia mi rapirono nel pieno della loro devastante forza, le lacrime copiose cominciarono a prendere il sopravvento su quella che era la mia naturale forza d’animo, cosa mai era successo a mio marito?
Le notizie date dai telegiornali dell’epoca cominciarono poi a farsi più certe, e nel mio cuore cominciai ad avere consapevolezza di ciò che mai una moglie vorrebbe che le fosse annunciato: la morte del proprio amato. Il venire a mancare di quella persona che per una moglie rappresenta l’unica ancora di salvezza in una vita fatta di quotidiani sacrifici per portare avanti una famiglia di un uomo delle Istituzioni: un Carabiniere. La nebbia che quella mattina aveva offuscato la mia mente cominciò a dissiparsi verso le ore 13 quando un ufficiale dell’Arma dei Carabinieri si presentò alla mia porta con il volto costernato di colui che non vorrebbe mai dare quell’efferata notizia: “Signora mi dispiace, per suo marito non c’è più nulla da fare…è morto”. Eppure sembrava che dalle prime notizie una labile speranza ci fosse, sentivamo dire che ci fossero dei feriti, speravamo, pregavamo, pensavamo insieme ai miei figli “…Signore nostro anche invalido per tutta la vita ma almeno vivo”, ma come le foglie d’autunno vengono spazzate via da una improvvisa folata di vento la nostra vita venne annientata in un momento, nell’attimo della piena consapevolezza di quanto fosse accaduto. Per tutta la mia vita ricorderò quel terribile momento, l’immagine di quanto poi trasmesso dalla televisione di Stato l’ho ancora stampata nella mia mente, come rimarrà in quella dei miei poveri figli: le autovetture crivellate di colpi e il corpo di mio marito trucidato con decine di colpi! E quando uno dei miei figli ebbe a riconoscere il suo povero papà dall’orologio, il mondo, la vita, le speranze della mia famiglia sono crollate come un debolissimo castello di carte che cade.
Da quel momento una vita distrutta, una famiglia spezzata, e non sto qui a raccontare come sia difficile far crescere due figli facendogli capire che il loro papà è morto e non ritornerà mai più a casa, cercare di fargli comprendere come sarà estremamente difficile crescere con la consapevolezza che il proprio padre è stato trucidato (perché i miei poveri figli l’immagine del padre ucciso nella macchina se la porteranno per tutta la loro povera vita).
Ha sentito la vicinanza dello Stato?
Dopo i funerali ed i primi momenti in cui tutti ti sono vicini, ricordo per l’appunto con vero piacere gli occhi illuminati dei miei figli quando nel gennaio del 1979 l’allora Presidente della Repubblica, l’incommensurabile Sandro Pertini, fece arrivare nel giorno dell’Epifania dei doni per loro, un attimo di gioia in quei momenti di così quotidiana angoscia. Dopo quei primi istanti di vicinanza venne l’oblio, che è una naturale caratteristica per quanto concerne momenti così tragici: a volte il silenzio lenisce i dolori più forti. Sono passati 30 anni da quel giorno, come appartenente all’Associazione delle “Vittime del Terrorismo”, ammetto che una dura battaglia è stata portata avanti per ottenere il riconoscimento di quanto dovuto nei nostri confronti, ma non solo per noi stessi perché sono orgogliosa di affermare che la nostra battaglia per il riconoscimento di tali diritti, sanciti dalla stessa “Carta dei Diritti dell’Uomo” sono stati altresì riconosciuti anche per le “Vittime del Dovere” ovvero per quei poveri ragazzi, siano essi poliziotti, carabinieri o finanzieri, che cadono uccisi anche dalla malavita comune, ma che pur restano dei paladini della giustizia che hanno immolato le loro povere vite in difesa delle Istituzioni Democratiche del nostro Stato. A volte bisognerebbe comprendere che, molto spesso, dietro una divisa c’è un comune cittadino che crede nelle Istituzioni sino ad arrivare all’estremo sacrificio pur di difenderle come citava San Tommaso D’Aquino nella divulgazione di quanto lui chiamava “L’opzione fondamentale” ovvero quel momento così supremo e mistico che permette a coloro che svolgono la propria opera a difesa delle Istituzioni di arrivare sino all’estremo sacrificio al fine di tutelarle.
Certamente l’emanazione di specifiche leggi sulle “Vittime del Terrorismo” hanno portato inevitabilmente a quella che è una caratteristica italiana in merito: fatta una legge ove la volontà del Legislatore è univoca al fine di stabilire una sorta di riconoscimento morale ed etico per coloro che hanno sacrificato la vita per la Nazione, non viene in effetti recepita a livello locale dalla più banale delle burocratizzazioni rendendo così vano la volontà del Parlamento legiferante.
Pensa si sia fatta piena luce sul caso Moro?
Da quel giorno la nostra vita è cambiata radicalmente, i vari processi verso i militanti delle Brigate Rosse, sei processi tengo a ribadirlo, processi che comunque hanno lasciato molti aloni di mistero in quello che forse è stato e rimarrà una delle pagine più buie della nostra Storia repubblicana.
La vicenda Moro ha rappresentato per tutto il Popolo italiano la voglia di verità estrema, perché ogni cittadino nel voler comprendere profondamente quanto accaduto nei cosiddetti “Anni di piombo”, nel cercare di chiudere un epoca attraverso la richiesta della piena verità sui fatti, si è purtroppo ritrovato a combattere con quella sorta di “Muro di Gomma” che fu innalzato intorno a questa vicenda! Perché, io ritengo, che solo con la piena verità si potrà arrivare ad avere un momento pieno di consapevolezza e pace interiore nei confronti di quei momenti di così triste storia che caratterizzarono gli anni ’70.
Ancora oggi i fautori della fermezza si contrappongono a quelli della trattativa, si dice anche che voi non avreste visto di buon occhio i tentativi di liberare Moro. È vero?
Durante il sequestro Moro si parlò tanto di coloro che rappresentavano il cosiddetto “Partito della Fermezza” e di coloro che erano per le “Trattative”. Certamente in quel momento noi familiari degli uomini trucidati in via Fani, sentivamo forte in noi la voglia che fossero assicurati alla giustizia tutti coloro che avevano compiuto quell’efferata strage. Eppure, contestualmente, sentivamo in noi forte la sensazione che, laddove fosse stato possibile liberare l’On. Aldo Moro, tutto ciò avrebbe rappresentato per noi tutti una sorta di redenzione morale, un possibile ritorno in vita dei nostri cari che avevano sacrificato la loro vita per il proprio compito: difendere un uomo dello Stato. Tante cose furono raccontate ad arte dai giornali in quel periodo, come la volontà delle vedove di via Fani (in particolare eravamo solo io e la signora Leonardi) di darci addirittura fuoco se si fosse addivenuti ad una qualsiasi sorta di trattativa. Ma tali considerazioni non corrispondevano al vero ed il tutto è agli atti della “Commissione Stragi” dove fummo più volte interpellate e demmo una secca smentita a tutto ciò. Rimane solo un’unica finale considerazione in merito a quanto accaduto: se Aldo Moro rappresentava per noi un familiare, una persona cara perché non avremmo voluto la sua liberazione? E come ho sempre affermato magari una volta liberato li potevano catturare di nuovo tutti!
Concludo questa mia testimonianza lasciando un messaggio ai ragazzi delle future generazioni, perché possano comprendere quanto accaduto in Italia in quegli anni, noi siamo stati educati dai nostri cari al motto dei carabinieri “…Usi obbedir tacendo, tacendo morir”, proprio perché, come loro, abbiamo il pieno rispetto delle Istituzioni e il profondo sentimento di rispetto per lo Stato per cui i nostri cari hanno sacrificato la propria vita, ma ai giovani io chiedo comprendete, studiate, analizzate, capite, perché solo in questo modo il nostro amato Paese si potrà permettere di ricomporre quella frattura che ancora lacera l’animo della nostra Nazione.
Manuel Fondato (Le foto vengono pubblicate per gentile concessione di Giovanni Ricci al quale vanno i miei più sentiti ringraziamenti)

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