Sono passati sette anni da quel 28 settembre 2000, quando l’allora capo del Likud e futuro premier Ariel Sharon entrò, alle 7.45 del mattino, protetto da oltre 1000 uomini armati, nella Spianata delle moschee a Gerusalemme, scatenando la violentissima reazione araba che sfociò, il giorno seguente, nella cosiddetta “Seconda Intifada”, 13 anni dopo la prima.
Il 29 settembre, al termine delle preghiere del venerdì, divamparono le proteste, che si estesero, nelle settimane successive, alla Cisgiordania, a Gaza, alla Galilea.
La Spianata delle moschee, situata nelle vicinanze della città vecchia di Gerusalemme, è rivendicata sia dagli ebrei, che la considerano il monte del Tempio di Salomone, sia dagli arabi, che lo considerano il luogo dal quale Maometto ascese al Paradiso.
La visita di Sharon, che intendeva riaffermare la piena sovranità israeliana, anche in vista delle elezioni che poi avrebbe vinto, fu duramente contestata dal leader palestinese Yasser Arafat, che la definì “inaccettabile” e provò ad impedirla, recandosi in visita dall’allora premier laburista Ehud Barak, nella sua residenza a nord di Tel Aviv, ma ottenne in risposta un laconico: ”Non so che farci, questa è la democrazia”.
Dei protagonisti di allora proprio Barak è rimasto l’unico sulla scena politica, dopo la morte di Arafat e l’entrata in coma irreversibile di Sharon.
La passeggiata dell’ex premier fu il casus belli che fece precipitare una situazione già precaria, dopo che la morte di Yitzhak Rabin, assassinato da un ebreo oltranzista, aveva, di fatto, vanificato la gran parte dei trattati di pace di Oslo del 1993, cui Rabin aveva interamente dedicato gli ultimi anni della propria esistenza e che gli erano valsi, assieme all’ex grande nemico Arafat, il premio Nobel per la pace. La svolta a destra dei successivi governi israeliani, il fallimento degli accordi di Sharm al-Shaykh del 1999 peggiorarono ulteriormente il quadro.
La Seconda Intifada,ancora in atto, si differenzia dalla prima per il massiccio coinvolgimento nella sommossa anche della popolazione araba residente in Israele e per il sistematico ricorso ad attentati suicidi da parte dei kamikaze palestinesi, che in questi anni hanno insanguinato molte città dello stato ebraico, colpendo autobus, ristoranti, locali notturni. Gli israeliani, da parte loro, hanno reagito ricorrendo a rappresaglie militari e, spesso, alla demolizione di edifici e rifugi dei terroristi. Una mattanza che ha provocato, in questi sette anni, quasi 5000 morti palestinesi ed oltre 110 israeliani.
Le responsabilità di tutto è da attribuire esclusivamente a Sharon? Non pochi israeliani respingono questa tesi. Nel libro “La settima guerra” due giornalisti della prestigiosa testata ebraica Haaretz, Amos Harel e Avi Issacaroff, ricostruiscono le fasi iniziali della rivolta e sostengono che, da parte palestinese, vi furono almeno due prove generali: nel 1996, dopo che il premier del Likud Benyamin Netanyahu aprì un tunnel archeologico alla base del Muro del Pianto, poi nel maggio 2000, con le accese manifestazioni della Naqba, il giorno di lutto palestinesi per la nascita dello Stato d’Israele e l’esodo dei profughi. Gli autori sono convinti che dopo il fallimento del vertice di Camp David, con il rifiuto dell’Anp delle proposte di pace di Barak, Arafat cercasse solo un pretesto per innescare lo scontro e nulla fu meglio del plateale gesto di Sharon. Il leader palestinese pagò un prezzo altissimo alla Seconda Intifada, venendo confinato nel suo quartier generale di Ramallah, dal quale uscì solamente per andare a Parigi, dove è morto il 4 novembre 2004.
Dal 2000, nonostante l’avvicendarsi di governi, partiti, maggioranze e leader politici, poco o nulla è cambiato, la road map è ben lontana dall’essere applicata, gli scontri sono meno frequenti ma non sono mai cessati. L’erede di Arafat, Abu Mazen, unico interlocutore della diplomazia internazionale nei tavoli della pace, ha però dichiarato che Israele e Autorità Nazionale Palestinese potrebbero firmare un accordo di pace entro maggio del 2008, sei mesi dopo la conferenza di pace internazionale sul Medio Oriente di metà novembre a Washington, che dovrebbe definire le questioni di principio sullo status finale dei territori palestinesi . L’ultimo episodio significativo, in questa contesa senza né vinti, né vincitori, è stato però lo smantellamento delle colonie ebraiche della striscia di Gaza, fortemente voluto da Sharon nell’estate di due anni fa, in un drammatico scontro tra coloni e soldati.
Il settimo anniversario della passeggiata sulla Spianata delle Moschee, che coincide con il terzo venerdì di preghiera del Ramadan, è trascorso intanto in un clima teso, blindato da 4000 agenti e scosso dall’eco dei combattimenti di Gaza. Hamas ha già promesso vendetta, annunciando di avere 400 uomini bomba pronti a lanciarsi contro i carri armati israeliani.
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